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La combinazione delle tecniche di mammografia 2D e 3D consente di individiduare il 90% dei tumori al seno in più rispetto alla mammografia tradizionale.

Lo dimostra uno studio italiano pubblicato nel numero di Giugno della rivista Radiology, coordinato dall’Ospedale Santa Maria Nuova (IRCCS) di Reggio Emilia e condotto grazie all’ultilizzo delle tecniche mammografiche GE Healthcare.

Il tumore alla mammella in Italia
Nella lotta contro il cancro al seno, lo screening mammografico è la prima forma di difesa. Le Linee guida del Ministero della salute suggeriscono alle donne dai 50 ai 69 anni di età di eseguire una mammografia ogni 2 anni. In Italia il tumore della mammella rappresenta la neoplasia più frequente per incidenza nella popolazione femminile. Si stima infatti che complessivamente una donna su otto contrae questa patologia nel corso della sua vita . Fortunatamente il tasso di mortalità continua a calare in maniera significativa (-2,2% nel 2017) e la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi oggi è arrivata all’87% . Tutto questo lo si deve anche grazie alla sempre più ampia diffusione della diagnosi precoce, che ha permesso di aumentare il numero di tumori identificati ai primi stadi di sviluppo della malattia, quando il trattamento ha maggiori probabilità di essere efficace e meno invasivo. Secondo i dati della letteratura scientifica, infatti, effettuare la mammografia di screening riduce il rischio di morte della donna per la malattia del 25-30% o più.

Tecnologie 2D e 3D a confronto
Ad oggi, esistono due tipi di mammografia. Una convenzionale, nota come mammografia digitale a campo intero o 2D, in grado di creare un’immagine bidimensionale del seno e la tomosintesi mammaria digitale, nota anche come 3D, è invece una tecnologia avanzata che utilizza più immagini radiografiche per creare un’immagine tridimensionale del seno, aiutando i radiologi a vedere le regioni di interesse nella mammella libere da altri tessuti sovrapposti. “Negli Stati Uniti, sia la mammografia 2D che quella 3D sono utilizzate per lo screening del tumore al seno”, afferma il dottor Pierpaolo Pattacini, direttore del Dipartimento di diagnostica per immagini e medicina di laboratorio dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. “È più comune per i medici degli Stati Uniti utilizzare la mammografia 3D, anche perché nel Paese non esistono a oggi programmi di screening organizzati come quelli italiani, ma prevalgono lo screening spontaneo o quello promosso da enti assicurativi privati. In Europa, invece, esistono già piani di screening su vasta scala organizzati a chiamata attiva, e a oggi la mammografia 3D non viene utilizzata se non in pochissime aree e su progetti di ricerca”.

Nuovi sviluppi in mammografia
Per studiare modalità di diagnosi sempre più efficienti, un team di radiologi, epidemiologi e statistici incaricati del programma di screening del carcinoma mammario di Reggio Emilia ha deciso di testare l’efficacia della mammografia 3D per lo screening in combinazione con la modalità 2D. Questo è stato il primo studio clinico europeo sulla mammografia 2D e 3D condotto come studio prospettico randomizzato basato sulla popolazione, il metodo ritenuto il gold standard nella medicina basata sull’evidenza. L’obiettivo era scoprire se queste due tecniche combinate potessero avere un impatto positivo sulla prognosi delle pazienti rispetto alla sola tecnologia 2D.

Lo studio di Reggio Emilia
Per condurre lo studio il team del dott. Pattacini ha diviso le donne in due gruppi statisticamente equivalenti: un gruppo è stato sottoposto a screening con mammografia 2D e trattato di conseguenza, mentre le donne del secondo gruppo sono state trattate sulla base dei risultati emersi dell’interpretazione delle scansioni 2D e 3D combinate. Il team ha condotto esami di screening del tumore al seno su circa 20.000 donne utilizzando la tecnologia mammografica di GE Healthcare. Gli esiti sono stati superiori anche alle più rosee aspettative: aggiungendo la mammografia 3D a quella 2D per lo screening, i ricercatori hanno rilevato il 90% in più di tumori rispetto al solo 2D e con un tasso di richiamo simile. Lo studio ha anche rilevato che l’aggiunta della mammografia 3D ha fornito tassi di rilevamento simili in tutte le classi di densità del seno, con un aumento di circa il 70% del rilevamento nelle donne con seno denso. Ha anche mostrato un aumento del 94% nel rilevamento di tumori invasivi di piccole dimensioni, che di solito sono più curabili, e un aumento del 122% nel rilevare carcinomi invasivi di media taglia. Un altro vantaggio dell’aggiunta della modalità 3D è la percentuale di risultati falsi positivi – le donne richiamate per ulteriori test pur non avendo una diagnosi di cancro – che era inferiore di circa il 25% rispetto al solo 2D, contribuendo ad evitare ulteriori esami e ansia.

In futuro…
“Riteniamo che la mammografia 3D abbia segnato un punto chiave nell’evoluzione tecnologica dell’imaging mammario, tenendo conto anche delle nuove ricerche sullo screening personalizzato del cancro al seno, che considerano il rischio di ammalarsi a seconda della famigliarità, della struttura del seno, e anche – più recentemente – delle caratteristiche genetiche della donna stessa”, ha dichiarato il dott. Pattacini. “Penso che il nostro studio sarà un punto di svolta per valutare la combinazione della mammografia 2D e 3D per lo screening del tumore al seno. È una porta aperta verso il futuro”.

Per maggiori informazioni sullo studio di Reggio Emilia e le novità GE Healthcare in campo di mammografia fare click qui.